Perchè sono femminista

Sono Sofia, ho 17 anni, e l’Otto Marzo sono scesa in piazza a Milano insieme a migliaia di altre donne – studentesse e non – perché mi reputo una femminista. L’abbiamo scritto sui cartelloni e lo abbiamo urlato mentre attraversavamo le vie della città: sono una femminista piena di riconoscenza per le conquiste di chi ci ha precedute, ma non mi accontento. Io e le mie compagne non ci accontentiamo.
Con il termine femminismo, generalmente, si indica la posizione o atteggiamento di chi sostiene la parità politica, sociale ed economica tra i sessi, ritenendo che le donne siano state e siano, in varie misure, discriminate rispetto agli uomini e ad essi subordinate.
Ma noi siamo la quarta ondata di quel movimento che ha avuto il suo exploit negli anni Sessanta e Settanta e sarebbe falso se si dicesse che il ruolo della donna – almeno qui da noi – non abbia subito nessun cambiamento nel contesto sociale negli ultimi anni. La donna può votare, la donna ora può lavorare, la donna può fare molto. Ma questi cambiamenti non ci bastano, non fosse altro per il fatto che non dappertutto è così: ci sono molti paesi dove ancora veniamo considerate oggetti, schiave, persone di dignità inferiore.
Essere femministi oggi significa volere di più. Non ci basta poter lavorare, vogliamo anche guadagnare come un uomo. Non solo vogliamo guidare, oggi vogliamo guidare una macchina senza che nessuno ci urli per strada “donna al volante pericolo costante”. Non basta che ci raccontino delle pari opportunità, vogliamo uscire dagli schemi misogini nei quali comunque veniamo incastrate.
Non accettiamo che le scelte sul nostro corpo dipendano dal numero di obiettori in consultori ed ospedali; non accettiamo che la nostra identità di genere sia imposta dalla società in cui viviamo; non accettiamo che i nostri corpi vengano strumentalizzati da pubblicità e mass media, che siano visti come oggetto di dominio maschile; non accettiamo un’istruzione superficiale e strumentale al volere dei soliti pochi; non accettiamo che il nostro modo di vestire e i nostri atteggiamenti vengano ancora colpevolizzati dopo una violenza.
Non ci basta la libertà sessuale a parole quando poi veniamo giudicate e condannate perché “la donna deve andare al letto solo con un uomo, il suo”, “la donna deve essere sensibile e accondiscendente”, “la donna deve pensare alla famiglia”. Qui apro una piccola parentesi: il termine puttana, con il quale molto spesso ci etichettano quando usciamo dai loro schemi, non deve essere per me considerato un’offesa: se rivolto alla mia persona solo per il fatto che godo delle mie libertà sessuali non lo considero un insulto. Sì, sono una puttana.
Il corteo di Milano mi ha piacevolmente sorpreso: c’erano tantissime studentesse, ma anche tanti ragazzi maschi. Il che fa ben sperare: sono tanti gli uomini che hanno metabolizzato e condividono le nostre battaglie quando, purtroppo, al contrario ci sono ancora troppe donne che ci disprezzano e ci accusano: “che senso ha scendere in piazza? Ancora co’ sto femminismo? Bloccate tutto e fate un dispetto alle tante lavoratrici e madri che devono andare in ufficio o devono portare i figli a scuola”. Frasi senza senso, frutto ahinoi di quell’ignoranza che fa il gioco di una società maschilista e patriarcale che noi vogliamo cambiare. Immaginate come sarebbe se ci insegnassero l’educazione sessuale e alle differenze, se fin da piccoli venissimo proiettati nel mondo con una visione diversa e più aperta rispetto a quella attuale. La disinformazione è la prima arma del sessismo, vogliamo poter avere la consapevolezza e la libertà per fare qualsiasi tipo di scelta, sessuale, fisica, scolastica e lavorativa senza rientrare in un modello che non ci appartiene. Ecco perché sono femminista.
Sofia

Related posts